Connect space

Roma, IT

Design team: Pietro Fantozzi, Claudia Sgandurra, Luna Vetrani, Giuseppe Vultaggio

Connect Space: il luogo di lavoro che crea connessioni

Mariano Avagliano

Associazione ItaliaCamp

"Impara l'arte e mettila da parte". Così dice l'adulto all'adolescente, il genitore al figlio, la zia al nipote, la professoressa e lo pseudo-maestro all'alunno, il precettore e l'aio d'ogni sorta al suo discepolo. Spaventati, indubbiamente, dal ruolo "sovversivo" che l'Arte, intesa nel suo sforzo costante e dolcemente arrogante di superare il consueto fatto di schemi e limiti prefissati, prima o poi riveste nella vita di chi si presta ad ascoltarla. Scompigliando, distruggendo, creando.

Il rapporto dell'essere umano con l'Arte è quello dell'uomo con se stesso, fatto di amori folli, intolleranze, sogni, incubi. Un percorso di espressione con cui l'individuo, mettendo a servizio tutte le proprie capacità di visione, "connette" - mette in comunicazione cioè - la propria percezione metafisica del momento con il mondo che scorre, rapido e ineludibile, all'esterno.

È questa capacità di passare dans un istant quello che ci batte dentro quando ci troviamo di fronte ad una manifestazione di un grande artista. E alla sua capacità di connettere persone, luoghi, emozioni e vite.

Ecco perché il percorso di ItaliaCamp con l'arte non poteva tardare ad affermarsi. Connect Space, quindi, è luogo di contatto, di incontro di contaminazione. Nello spazio: quello che viviamo quotidianamente, nel vociare da mercato e nel parlare forbito, che s'incrociano nel cuore pulsante - e nel traffico - della capitale.

E nel tempo, nel mentre che lo spazio fa, noi viviamo il frenetico di ogni giorno, la cui decadente e intramontabile bellezza suona nei ghirigori dei cornicioni dei palazzi e nelle incisioni romane che risaltano come vegetazione spontanea quasi invisibili.

Grazie ad alcuni dei più espressivi protagonisti della Street Art e, in generale, dell'arte contemporanea è possibile ri-vivere - e soprattutto ri-pensare - il luogo di lavoro: da "produzione" a connessione permanente.

Ma non si tratta di un concetto nuovo o rivoluzionario. Tutt'altro. Cinquecento anni fa Giotto, Cimabue, Leonardo (per dirne soltanto 3 sine taedio) studiavano, da sbarbatelli, in spazi frequentati da poeti, scrittori, medici, filosofi, ingegneri, architetti. Un co-working ante litteram insomma. E s'è visto quello che hanno tirato fuori, cresciuti in un fermento di costante contaminazione tra scienza, arte, lettere e racconti di vita vissuta.

L'Arte entra quindi nei corridoi che calpestiamo quotidianamente in maniera affatto scontata e non soltanto per arredare, abbellire o rappresentare un elemento di erudimento borghese attraverso cui intrattenere gradevoli conversazioni. Si tratta, invece, di un racconto in cui rivediamo noi stessi, le nostre dimensioni, sfide e sensibilità.

La consapevolezza che (ah caro e buon vecchio Zygmunt!) "la nostra vita è ... un'opera d'arte... per viverla come esige l'arte della vita dobbiamo porci delle sfide difficili ... da contrastare a distanza ravvicinata. Dobbiamo scegliere obiettivi che siano ben oltre la nostra portata...di eccellenze irritanti...dobbiamo tentare l'impossibile e possiamo solo sperare di raggiungere quegli obiettivi dimostrandoci all'altezza della sfida".

Questa è l'arte che viviamo ogni giorno a Piazza Esquilino 5. Queste sfide "irritanti" sono, in sostanza, il frumento, l'idromele, la materia primordiale di sussistenza dei racconti di vita che risuonano negli spazi di ItaliaCamp.